Presentazione a Catania

 

 

 

 


Relazione del prof. Antonino Di Grado

 

Introduzione dell'avv. Gaetano Sardo, Assessore alla cultura, Comune di Catania

 

 

 
   

 

Nell’elegante cornice del Piccolo Refettorio  del Monastero dei Benedettini- Biblioteche Riunite: Civica e  Ursino Recupero  è stato presentato il volume di Enzo Consoli “Scarpe di camoscio” Onyx edizioni – Roma.

L’assessore alla cultura del Comune di Catania, Avv. Gaetano Sardo ha introdotto la serata culturale condotta dal preside Giuseppe Adernò intercalando gli interventi dei relatori con l’esecuzione di brani musicali eseguiti dall’Ensemble Parini .

La lettura critica del volume è stata presentata dal  professore Antonino Di Grado dell’Università di Catania, il quale ha accostato l’opera di Consoli a quella di Brancati, affermando che Consoli dice ciò che Brancati non poteva dire. L’immagine di Catania che appare nel volume di Consoli è più  vera rispetto alla Catania di Braccati , odorosa di gelsomini e di zagara.

Con originalità e diligente ricerca la Prof.ssa Teresa Di Blasi, storico dell’Arte, ha riletto il volume  di Consoli presentando una carrellata di immagini di dipinti di Roberto Rimini, Gaetano Longo, le sculture di Francesco Messina,  Emilio Greco e dei giovani pittori del gruppo di Scicli.

            Coniugare la scrittura alla pittura e ritrovare una forte intensità di comunicazione e di pensieri è stata una lodevole sorpresa per il numeroso ed attento pubblico, lieto di far rivivere ricordi di persone e immagini che ora appaiono mutate.

            I brani musicali eseguiti dai piccoli musicisti dell’Ensemble Parini hanno dato alla serata un fascino di armonia e di cultura che utilizza i diversi linguaggi parole, immagini, suoni, per celebrare la storia e la vita di una Città.

            Ha concluso la serata l’intervento dell’autore, il quale ha esposto le motivazioni di fondo del racconto e rispondendo agli interventi ha  esposto la ricerca stilistica concisa, essenziale, spezzata da una punteggiatura che diventa ritmo ed armonia nella lettura agile e scorrevole.

 

 

 

 

 

 

Pippo Fava: la fine di una speranza.

nel romanzo di  ENZO CONSOLI

SCARPE DI CAMOSCIO

Ed. Onix Roma   €.12,00

 

Alle otto, Pippo era ancora al Teatro Rosina Anselmi, dove stavano provando un suo nuovo testo sulla violenza perpetrata dalla mafia. Era ancora lì perché si era messo a litigare con il regista.

Guardò l’orologio e disse che doveva andare. IL regista lo trattenne ancora e gli disse qualcosa che lo mandò su tutte le furie

Pippo uscì dalla sala  sbattendo la porta. Corse alla macchina e vi salì. Si accese una Gauloises e fece per avviare il motore. Sentì bussare sul vetro della portiera. Si girò e vide un giovane che aveva affiancato l’auto con la sua moto e che fece segno a Pippo di abbassare il vetro.

Lui convinto che l’altro volesse un’informazione, lo abbassò.

Ma quello invece di dire qualcosa , gli puntò la canna di una pistola alla tempia. Due colpi e Pippo si accasciò sul volante. La moto ruggì e partì a gran velocità.

Il suono persistente del clacson che il petto di Pippo stava schiacciando, richiamò l’attenzione dei passanti. Qualcuno uscì dal teatro e si portò le mani ai capelli. La vendetta era arrivata. Quella di Arenco?  Non solo. Difatti fu sempre difficile stabilire chi potesse essere il vero mandante.

Certo è che quanto veniva scritto sulle pagine de “I Catanesi” aveva esasperato gli animi di parecchia gente. Gli Arenco erano ormai tanti. E forse tutti insieme si erano tolto quella spina dal fianco.

Ma per molti altri, quella tragedia rappresentò la fine di una speranza. Quella di continuare a lottare contro un male inesorabile. Quella di non subire passivamente la prepotenza di pochi.

Quando tutti gli amici, compreso Nico, si trovarono davanti al feretro di Pippo Famà, Angelo sussurrò ad Orazio: “Una lampadina che si fulmina all’improvviso fu… e che ti lascia all’oscuro”.

Infatti nel buio di quegli anni, Famà rappresentava l’unico lumicino acceso nelle coscienze dei catanesi.

Ed ora quel buio che tornava ad oscurare la città, si sarebbe propagato nel resto dell’isola fino a raggiungere distanze infinite.

 

            E’ questo l’epilogo del volume di Enzo Consoli:“Scarpe di camoscio” edito dalla Onix editrice di Roma  nel 2004.

            Le figure ed i personaggi anche se con nomi diversi  (Famà rievoca Fava ed  I catanesi” sta per “I Siciliani” ) rievocano personaggi e fatti reali della  Catania degli anni sessanta, raccontata per descrivere sentimenti ed emozioni, attese e speranze dei giovani che aprivano i loro occhi incerti e spauriti dinnanzi al boom economico che avanzava impetuoso all’indomani della guerra e si rifugiavano nel  “branco” gruppo ora politico, ora associativo, ora contestatore e anarchico, che anticipa  e prepara la rivoluzione del ’68.

Comprare un paio di scarpe nuove e di camoscio in Via Etnea  era il sogno di tanti ragazzi dei quartieri di Nesima, di Cibali o di Picanello, dopo aver trascorso un’infanzia segnata dai sacrifici e dalla povertà del periodo bellico

            I giovani di allora, oggi persone mature, si ritrovano nella storia romanzata di Nico e Sandra e rileggono le problematiche e le ansie di una libertà da conquistare e da gestire, di una democrazia da conquistare e di una mafia da combattere.

Presentando il volume al Piccolo Refettorio dei Benedettini, alla vigilia di Natale,  il prof. Antonio Di Grado dell’Università di Catania, ha affermato che “Scarpe di camoscio” racconta l’autobiografia della città di Catania e dice quel che Brancati non poteva dirci. Al pudore elegiaco di una Catania profumata di zagara e di gelsomino si contrappone la  ricerca impetuosa dei giovani che corrono verso il nuovo, inciampano nella rete della mafia ed alla Catania di luce di Brancati si contrappone il grigio ed il buio di Consoli che accompagna l’ansia dei giovani ora politicanti e ribelli, ora rivoluzionari e conservatori, ora anarchici e perdenti.

Costruito a medaglioni  che man mano si allargano ad ampie e prolungate dissolvenze, il volume ripercorre la vita catanese cara e nota a molti cinquantenni di oggi nella ricostruzione di un ricordo che diventa memoria e lezione di vita per le giovani generazioni.

La rivisitazione dei luoghi della Catania di ieri, del caffè Lorenti, della scogliera ancora selvaggia e affascinante, dei paesini etnei con le botteghe semplici e rustiche, dove si andava a mangiare i legumi, oggi appare solo nei dipinti degli artisti siciliani che Maria Teresa Di Blasi ha saputo scoprire ed accostare al volume di Consoli, sfogliando le pagine del libro con le illustrazioni dei paesaggi di Roberto Rimini, Gaetano Longo, Francesco Messina, Emilio Greco.

Lo stile incisivo e  puntuale, connotato da frasi brevi e taglienti, ricco d’immediatezza ed essenzialità rende il volume di  gradevole lettura  e consente di rivedere come in un film una storia non molto lontana, ma che adesso è profondamente mutata. L’ autore che vive a Roma, e lavora come Direttore di  doppiaggio,  presso la N.D. autore di diversi romanzi e testi teatrali ha, infatti,  un’ottima dimestichezza con il cinema ed il teatro.

            L’espressione citata “Una lampadina che si fulmina all’improvviso fu… e che ti lascia all’oscuro”. Infatti nel buio di quegli anni, Famà rappresentava l’unico lumicino acceso nelle coscienze dei catanesi.  oggi nel  ventunesimo anniversario di Pippo Fava resta un’immagine viva e dinamica, che nella memoria risveglia non solo ricordi, ma suscita speranza ed impegno a ricominciare e continuare il cammino già tracciato.

 

Giuseppe Adernò

 

 

 

 

 

 

In quel gioiello che è il "Piccolo Refettorio, Biblioteche Riunite Civica e Ursino Recupero" è stato presentato per Natale - coordinatore Giuseppe Adrnò - l'interessante romanzo "Scarpe di camoscio" di Enzo Consoli, da Antonio di Grado e da Maria Teresa Blasi che, attraverso pittori e scultori nostrani, hanno documentato in un rimando storico culturale ed estetico col testo, quanto l'autore ha scritto di Catania  e dintorni nel raccontarci la sua storia che è quella della città intorno agli anni sessanta. Rievocazione di un disagio giovanile che un gruppo di giovani intellettuali che cercano di crescere e di capire i cambiamenti della loro città dopo la seconda guerra mondiale per cercare di intravedere lo sviluppo del loro futuro.  E questo romanzo catanese di un catanese - dice Di Grado - nella sua acuta analisi, si inserisce nella tradizione de "I Viceré" di De Roberto e di Brancati raccontando "quello che Brancati non poteva dirci, non perché Consoli ambienta il romanzo nel '60 e Brancati moriva a Torino nel '54. E il motivo - prosegue Di Grado - è segreto e profondo per Brancati perché quel vento di pudore elegiaco, quella nostalgia che gli ispirò la sua favola bella odorosa di zagara e gelsomino la Catania pacifica e indolente da lui cantata non esisteva più quando Consoli la visse ma egli narra, proseguendo nel solco brancatiano la triste fine dei "galli", i "galli" di Brancati personaggi indolenti che passeggiano per via Etnea, fra Lorenti e Caviezel e che vagheggiano un'idea assolutamente irreale smaterializzata disputando sui Massimi Sistemi; e questi personaggi fanno una triste fine nella Catania dei comitati d'affari e dei cavalieri del lavoro da cui un giorno, improvvisamente ci siamo scoperti avvinti anche noi avvolti dalla piovra mafiosa. Dagli anni luminosi idilliaci di Brancati ci trasferiamo con Consoli negli anni bui col coprifuoco. E questo di Consoli è il lato oscuro violento di quella favola dell'energia brancatiana - sono ancora parole di Di Grado - e forse non a caso "Gli anni perduti" grande romanzo corale che Brancati dedica alla Catania degli anni trenta si chiudevano con l'invocazione della luce - in un preciso significato simbolico - come questo libro di Consoli "Scarpe di camoscio" si chiude con questa frase "Ed ora quel buio che tornava ad oscurare la città si sarebbe propagato al resto dell'isola fino a raggiungere distanze infinite". La luce di Brancati e il buio di Consoli ci conducono alla morte di Pippo Fava, adombrato in Pippo Famà, ma da tutti riconoscibile. Son gli anni del buio e della rabbia, della rivista "I siciliani" che diventa nel libro "I catanesi" ma anche della rinascita del teatro catanese. In questa cronistoria questi giovani costituiscono un "gruppo" una sorta di protezione alla loro imbelle impotenza che si scatenerà nel violento episodio contro Rosa. In questa città chiusa e buia dove comunque non mancano interrogativi e speranze illusioni e verifiche per potere affrontare l'incerto futuro. In questo contesto - si snoda in particolare la struggente storia d'amore e morte, di un amore negato fra desiderio di fuga e un amaro e funereo recupero che si conclude come una tragedia greca con lo spettro dell'ADS ma anche quella di Pippo Baudo e sopratutto- ripeto - quello di Pippo Fava, giornalista d'assalto, autore di teatro, scrittore che, con la sua morte simboleggiò un'epoca, quella degli anni bui di catania, quando la mafia fece calare il coprifuoco sulla città. Queste storie e i loro personaggi sembrano inventati ma ci accorgiamo, alla fine, che sono le nostre, individuali e collettive: eppoi nella narrativa di Consoli c'è l'esigenza di scavare nel suo passato volutamente dimenticato o cancellato per riportarlo in vita perché fondamentale nella vita dello scrittore. Il romanzo dalla "struttura a medaglione" ogni personaggio è portatore di un tema: il vitellone, il malinconico, il ribelle) di un tempo narrativo post-brancatiano è il tema di un uomo, l'autore, e dei suoi amici e di una Catania "dura e difficile" che è quella di ieri ma che è anche quella di oggi i cui protagonisti la attraversano come trasognati ed ignari votandosi al teatro, al giornale, alla tv, vagheggiando di eventi e di amori. In quegli anni quando tutto è cambiato l'elegia brancatiana si è rivelata improponibile. La protagonista - come in Brancati - è catania città odiata perché tanto amata da Consoli a cui torna dopo che era andato via a costruire la sua vita e la sua fortuna assieme - conclude Di Grado - coi nostri sogni che durano malgrado tutto

 

Carmelo La Carrubba 

 

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